La Basilica

LA BASILICA SAN BARNABA APOSTOLO

La basilica collegiata di San Barnaba Apostolo è il principale luogo di culto cattolico della città di Marino in provincia di Roma, nella sede suburbicaria di Albano.


La basilica, costruita per devozione della famiglia Colonna, è una delle chiese più vaste della diocesi, nonché una delle più importanti: fu sede della venerabile arciconfraternita del Gonfalone di Marino, fondata attorno al 1271 da Bonaventura da Bagnoregio; inoltre il capitolo di San Barnaba era il più importante della diocesi insieme a quello della collegiata di Santa Maria Assunta in Ariccia, come fu stabilito nei sinodi diocesani del 1668 e del 1687

Scarica il testo di Ugo Onorati La Chiesa di San Barnaba Apostolo di Marino

Originariamente la santa patrona di Marino era santa Lucia, la cui festa si celebra tutt'ora in città il 13 dicembre di ogni anno.


A santa Lucia era dedicata una chiesa, situata nella parte basso-medioevale dell'abitato, ed eretta probabilmente nel XII secolo su una cisterna romana, ma rifatta agli inizi del XIII secolo per volere dell'allora signora di Marino beata Giacoma de Settesoli[3]. Parte di questa chiesa, unico esempio dell'architettura gotica nei Castelli Romani, ancora oggi sopravvive ed ospita il Museo Civico Umberto Mastroianni.


San Barnaba sarebbe divenuto patrono di Marino in seguito a una calamità naturale che colpì le campagne marinesi: l'11 giugno 1615 infatti una violenta grandinata devastò i raccolti dei marinesi. L'anno seguente un'altra grandinata, lo stesso giorno, cadde sulle campagne marinesi. Infine nel 1617 una terza grandinata sconquassò ancora, sempre nella giornata dell'11 giugno, i campi e le vigne locali. Per porre fine a questo flagello, venne convocata, il 2 febbraio 1618, un'assemblea popolare plenaria, che votò di scrivere una lettera al cardinal Francesco Sforza di Santa Fiora cardinale vescovo di Albano chiedendo di poter venerare san Barnaba, la cui festa ricorre proprio l'11 giugno, come santo patrono «appresso Sua Divina Maestà»[4]. Il 4 giugno 1619 il cardinal Sforza rispose affermativamente[5] e da quella data si iniziò a celebrare solennemente la festività di San Barnaba.


La fondazione


La basilica vista dal piazzale degli Eroi al tramonto

All'inizio del XVII secolo Marino era suddivisa in due parrocchie: la summenzionata parrocchia di Santa Lucia e la parrocchia di San Giovanni Battista, la cui parrocchiale era collocata nell'attuale rione Castelletto, nella parte alto-medioevale dell'abitato, e di cui oggi restano solo pochi resti inglobati dalle case. Quest'ultima parrocchia era la più antica. Allora il duca di Marino, Filippo I Colonna e suo figlio, il cardinal Girolamo Colonna, optarono per lo scioglimento delle due parrocchie e l'accorpamento delle stesse in un unico titolo parrocchiale la cui chiesa fosse intitolata a san Barnaba. Questa scelta, avallata dall'autorità ecclesiastica, fu anche ispirata da motivi di ragione pubblica, poiché pare che scoppiassero frequentemente risse tra i residenti nelle due parrocchie.


Così, il 28 ottobre 1636 mons. Giovanni Battista Altieri, vicario generale della sede suburbicaria di Albano, soppresse le due parrocchie marinesi di Santa Lucia e di San Giovanni Battista, accorpando le loro rendite e benefici nella costituenda parrocchia di San Barnaba[6]. Il duca Filippo I Colonna subito stanziò alcuni fondi per l'avvio dei lavori di costruzione, ai quali tuttavia attinsero purtroppo gli ufficiali tesorieri della Comunità di Marino che approfittarono di quel denaro per «recarsi a pazzeggiare all'hosterie» di Roma[7]. Nonostante il furto, la prima pietra della nuova parrocchiale venne solennemente posata il 10 giugno 1640 con la benedizione del cardinale Girolamo Colonna, alla presenza del duca Filippo I Colonna e degli altri membri della famiglia Colonna[8].



Il fianco sinistro della basilica da via Giuseppe Garibaldi

Papa Urbano VIII il 3 dicembre 1643 emanò la bolla Exclesa merita Sanctorum, con la quale non solo confermava la soppressione delle due antiche parrocchie marinesi in favore della nuova parrocchiale in costruzione, ma elevava anche quest'ultima al titolo di Collegiata perinsigne ed alla dignità abbaziale nullius, dunque dotata di un Capitolo di dodici canonici più sei beneficiati con diritto all'abito corale presieduto da un arciprete abate parroco con privilegio di cappa magna: l'arciprete abate parroco doveva essere, inoltre, affiancato da due «coadiutori perpetui» per la cura delle anime dei parrocchiani[9].I privilegi di canonici e abate parroco vennero ampliati nei secoli seguenti dai Pontefici: nel 1748 papa Benedetto XIV concesse all'abate parroco l'uso dell'abito pontificale ed ai canonici l'uso del rocchetto e della mozzetta paonazza; il 12 agosto 1828 invece papa Leone XII autorizzò i canonici ad indossare la cappa magna, in premio della fedeltà del clero marinese alla Santa Sede durante le vicende dell'occupazione francese[10]; infine il 17 novembre 1843 papa Gregorio XVI concesse sia all'abate parroco che ai canonici l'uso del collare di seta paonazza.


Tornando a parlare del procedere dei lavori, il 5 giugno 1642 l'ufficiale camerlengo del feudo di Marino comunicava al duca Filippo I Colonna che erano stati messi in opera tutti i pilastri dell'erigenda chiesa e le volte delle otto cappelle. Alcune misure dell'edificio: lunghezza alla facciata 58,75 metri; larghezza al transetto 24 metri; altezza della cupola alla lanterna 36 metri[11]. Fino a quella data erano stati spesi 12.000 scudi per la costruzione, e altrettanti ne verranno spesi in seguito, fino al 1655, per un totale di circa 30.000 scudi[12].


Si suppone che nel 1655 terminassero i lavori nella chiesa, durati quindici anni: tuttavia, non si poté procedere alla consacrazione del luogo di culto, a causa della devastante pestilenza che nel 1656 afflisse Marino e l'Agro Romano. La peste sterminò molti marinesi, lasciando in ginocchio il feudo, che dovette essere ripopolato con i vassalli di casa Colonna provenienti dall'Abruzzo: la popolazione marinese, stimata prima delle pestilenze a 2.000 abitanti circa, si ridusse in pochi mesi a poche centinaia di anime.


Il XVII secolo

Così la prima messa cantata fu celebrata nella nuova Collegiata solo il 22 ottobre 1662, da monsignor Carlo Tarugi vicario generale della sede suburbicaria di Albano e dal primo abate parroco, don Agostino Gagliardi. A quella data risale infatti la lapide apposta dal cardinal Girolamo Colonna sulla controfacciata, che ricorda come la chiesa sia sotto lo iuspatronatus perpetuo della famiglia Colonna. Tuttavia la consacrazione ufficiale della Collegiata venne celebrata solo il 14 maggio 1713 ad opera dell'arcivescovo di Napoli monsignor Antonio Sanfelice.


Il 10 dicembre 1662 l'immagine della Madonna del Rosario nuncupatam de Populo venne traslata dalla vecchia chiesa di Santa Lucia alla nuova Collegiata.[13]


Il XVIII secolo

Dopo le vicende della Repubblica Romana (1798-1799), a cui Marino aveva partecipato attivamente, nel 1799 le truppe napoletane di liberazione si accamparono ai Castelli Romani e anche a Marino, celebrando una solenne messa in suffragio dei loro caduti proprio nella Collegiata di San Barnaba[14].


Il XIX secolo

L'elevazione a basilica minore risale al 23 settembre 1851, per volere di papa Pio IX,[15] ferma restante l'aggregazione della città alla sede suburbicaria di Albano, già confermata da Gregorio XVI quando nel 1835 aveva elevato Marino al grado di città.


Dopo il 1870 a Marino esplose l'anticlericalismo della parte repubblicana maggioritaria della popolazione, che avversava fieramente la comunità parrocchiale con manifestazioni come il Carnevalone. Nel 1899 l'allora abate parroco volle mostrare anch'egli la sua ostilità verso i repubblicani e verso la stessa Italia unitaria proibendo l'ingresso in basilica alla bandiera italiana, in occasione di una messa in suffragio per i morti nella battaglia di Adua.


Il Novecento

Dall'inizio del secolo alla seconda guerra mondiale

Il terremoto del 1902 causò alcune profonde crepe nella struttura della basilica, perciò il Genio Civile di Roma nel 1909 portò a compimento alcuni necessari lavori di consolidamento, tramite il rafforzamento degli architravi delle due navate laterali con archi a tutto sesto, il potenziamento dei pilastri ed il rinnovamento del pavimento e dell'intonaco.[16]


Nei primi anni del Novecento, la parrocchia fu retta dall'abate parroco Attilio Pandozzi, sacerdote apertamente schierato con la forte maggioranza anticlericale, che arrivò al punto di scrivere un libello contro la Chiesa cattolica ed il Papa[17]; fu per questo sospeso a divinis ed allontanato dalla parrocchia. Il cardinale vescovo della diocesi suburbicaria di Albano Antonio Agliardi, per ricostruire una comunità "avvilita e dispersa" dopo la parentesi dell'"infelice parroco apostata"[17], scelse don Guglielmo Grassi (1868 - 1954)[18], combattivo sacerdote originario di Genzano di Roma, che resterà alla guida della parrocchia fino alla morte, avvenuta nel 1954. Nel 1937 sarà nominato vescovo di Damietta da papa Pio XII, tuttavia continuerà la sua opera di pastore a Marino. A monsignor Grassi si devono la fondazione della congregazione delle Piccole Discepole di Gesù, la creazione di un asilo per i genitori bisognosi durante la prima guerra mondiale, l'apertura della sala-teatro Vittoria Colonna l'incentivo all'attività teatrale, la fondazione dell'Oratorio Parrocchiale San Barnaba negli anni venti, la proficua collaborazione con il Servo di Dio Zaccaria Negroni che portò alla crescita dell'oratorio parrocchiale ed alla fondazione della congregazione dei Piccoli Discepoli di Gesù e della Tipografia Santa Lucia.


Nella notte tra venerdì 17 novembre e sabato 18 novembre 1911 la venerata immagine della Madonna del Popolo custodita nella seconda cappella di destra della basilica fu soggetta ad un furto sacrilego: i ladri entrarono da una porticina laterale nel coro e portarono via buona parte degli ornamenti più preziosi e degli ex voto.[19] I colpevoli del furto furono identificati quasi immediatamente nelle persone di tre anarchici: due marinesi, Tullo Ostilio Ciaglia ed Enrico Testa, e un forestiero, Proietti Giovanni. Furono condannati a tre anni di reclusione. Un secondo furto sacilego si verificò pochi anni dopo, nel 1914, ed i ladri penetrarono nella basilica sempre dalla stessa porticina, rimasta incustodita per "insipienza del Clero". Vennero trafugati i preziosi sopravvissuti alla prima rapina: i colpevoli stavolta non vennero identificati.



Il fianco destro della basilica dopo le incursioni aeree anglo-americane nel maggio 1944

Durante la seconda guerra mondiale, il 2 febbraio 1944 alle ore 12.30 circa, alcuni bombardieri North American B-25 Mitchell della 15^ United States Army Air Forces, del tonnellaggio di 1360 chilogrammi di bombe ciascuno, bombardarono il centro storico di Marino.[20] In questa occasione la basilica venne risparmiata; numerosi sfollati si rifugiarono nei sotterranei della basilica, nella sala-teatro Vittoria Colonna e nella chiesa della Coroncina, presso cui furono collocati anche alcuni uffici comunali, senza sede dopo il bombardamento di Palazzo Colonna. Alla Coroncina trovarono sede anche l'ufficio postale a la cassa di credito cooperativo San Barnaba, ed in un certo periodo anche un deposito di generi alimentari.[21]

Il 31 maggio 1944[22] quattro incursioni aeree anglo-americane colpirono la basilica: furono sfondati il tetto - già cadente - e un arco di sostegno della cupola, causando gravi danni ai dipinti dell'interno.[23]


Dalla seconda guerra mondiale alla fine del secolo XX

Il primo intervento di restauro alla basilica bombardata venne deliberato d'urgenza dall'amministrazione comunale pro tempore già nell'agosto 1944.[24] Venne ricostruito l'arco spezzato che sosteneva la cupola e furono restaurati i due dipinti del Martirio di San Barnaba attribuito a Bartolomeo Gennari conservato sulla parete di fondo del presbiterio e del Martirio di San Bartolomeo del Guercino conservato nel transetto sinistro.[25] Venne anche restaurata l'icona della Madonna del Popolo: Il restauro venne eseguito dal professor Giuseppe Grassi, fratello dell'abate parroco Guglielmo Grassi, a titolo completamente gratuito, mentre sarebbero costati oltre £ 80.000. Il 25 agosto 1948 la Madonna del Popolo tornò trionfalmente nel suo altare. Il 2 febbraio 1948 il Comune di Marino inaugurò le quattro steli di travertino collocate nell'altare del Crocifisso e dell'Addolorata -seconda campata a sinistra- su cui sono riportati i nomi dei 325 marinesi caduti nell'ultima guerra mondiale.


Nel 1950, il cardinale vescovo della diocesi suburbicaria di Albano Giuseppe Pizzardo nominò don Giovanni Eleuterio Lovrovich vicario coadiutore perpetuo dell'abate parroco Guglielmo Grassi con diritto di successione. Don Giovanni, originario di Sebenico in Dalmazia e fuggito da lì a causa delle persecuzioni jugoslave contro gli italiani, successe a monsignor Grassi alla morte di questi, il 14 settembre 1954: rimase parroco fino al 1989.[26] Si impegnò attivamente - assieme al Servo di Dio Zaccaria Negroni, diventato senatore democristiano - nell'ampliamento dell'Oratorio Parrocchiale San Barnaba, che sotto la sua gestione pastorale arrivò ad avere l'aspetto attuale; fu autore di opere storiche, come una preziosa monografia su Giacoma de Settesoli (1976) e l'importante opera di storiografia locale Lo vedi ecco Marino, scritta assieme a Franco Negroni (1981). Sotto di lui venne inaugurato l'auditorium monsignor Guglielmo Grassi nei locali della ex-chiesa della Coroncina, e l'attività teatrale ebbe un forte e positivo incentivo.


Il 31 agosto 1962 papa Giovanni XXIII piombò a sopresa a Marino, venendo dalla villa pontificia di Castel Gandolfo a visitare monsignor Alberto Canestri, suo compagno di studi, residente a Marino. Il Papa si ritirò in preghiera nella basilica per alcuni minuti.



L'interno della basilica negli anni trenta del Novecento.


L'interno della basilica nel dicembre 2008.

Nel 1962 la Curia Vescovile patrocinò una serie di lavori di sistemazione e rinnovamento delle cappelle laterali: vennero risistemati il summenzionato altare del Crocifisso e dell'Addolorata, l'altare del Sacro Cuore - terza campata a sinistra -, arricchito con un dipinto raffigurante il defunto abate parroco Guglielmo Grassi che guida il popolo al Sacro Cuore di Gesù, e la cripta - prima campata a destra -, dove trovarono sepoltura la Serva di Dio Barbara Costantini, monsignor Guglielmo Grassi ed il vicario generale della diocesi suburbicaria di Albano Giovanni Battista Trovalusci. Nel 1970 è stata restaurata la statua in legno dorato di santa Lucia, conservata nella prima campata a sinistra. Tra il 1978 ed il 1979 furono eseguiti importanti lavori in basilica, soprattutto nell'area del presbiterio che fu messo a norma secondo le nuove disposizione del Concilio Vaticano II.[27]


Purtroppo, nel corso degli anni ottanta la basilica è stata oggetto di almeno tre furti sacrileghi: scomparirono l'icona della Madonna del Popolo - quella attualmente venerata è una copia moderna -, il reliquiario in argento del braccio di san Barnaba ed un crocifisso in stile berniniano. Non si hanno notizie sulla sorte di questi oggetti.


Dopo l'allontanamento dalla parrocchia di monsignor Giovanni Lovrovich, nel 1989 venne chiamato alla guida della parrocchia don Elio Abri. Quindi, nel 1997 il vescovo di Albano Dante Bernini affidò la parrocchia a don Aldo Anfuso, precedentemente primo parroco della parrocchia di San Bonifacio a Pomezia. Sotto la guida pastorale di don Aldo, l'attività formativa data dall'Oratorio Parrocchiale San Barnaba ha ripreso vigore, è stato restaurato l'auditorium monsignor Guglielmo Grassi con una ripresa dell'attività teatrale che aveva avuto tanta importanza a Marino, e si sono poste le basi per il restauro dell'adiacente sala-teatro Vittoria Colonna.


Negli novanta si sono condotti importanti lavori di restauro della facciata principale della basilica; nel 2006 è stato completamente rinfrescato l'intonaco della monumentale parete orientale, su via Giuseppe Garibaldi.


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Una Madonna ritrovata

La Vergine del Ss. Rosario di Sebastiano Ceccarini copiata dal Passeri.

Nonostante il gravissimo furto di opere d’arte avvenuto nel 1984, una chiesa monumentale ricca di opere d’arte, come la basilica collegiata abbaziale di San Barnaba di Marino, non finisce mai di stupire per le scoperte continue. Recenti sono le importanti attribuzioni, merito dello storico dell’arte arch. Francesco Petrucci, a Luigi Garzi del quadro della Madonna del Carmelo sull’altare del braccio destro del transetto, a Giuseppe Ghezzi della Madonna Assunta in cielo all’inizio della navata sinistra, a Francesco Rosa del Trapasso di san Francesco Saverio (1680) all’inizio della navata destra, a Giacinto Campana con interventi del Guercino del Martirio di San Bartolomeo sull’altare del braccio sinistro del transetto. 
Di recente è avvenuta una straordinaria scoperta, ad opera di mons. Pietro Massari, abate parroco del duomo di Marino, tanto casuale e inaspettata, quanto oserei dire “prodigiosa” . Si tratta di un dipinto a olio su lastra di rame, che rappresenta la Madonna del Ss. Rosario, secondo una consueta iconografia: la Vergine del Rosario, assisa su un trono di nuvole, è al centro della composizione con il Bambino in braccio e, ai suoi lati, i due principali santi domenicani: san Domenico a sinistra, mentre riceve la corona del Rosario e santa Caterina a destra, che a mani giunte volge lo sguardo alla Madonna .
La diffusione della preghiera del Rosario e quindi anche di questa immagine si deve a una specifica bolla papale del 1569 di san Pio V, monaco domenicano, particolarmente devoto a tale pratica . Il Papa promosse una “Crociata del Rosario” per combattere le eresie al nord, in Europa, e le minacce islamiche dei Turchi a sud. Promosse una Lega Santa fra le nazioni cattoliche, che culminò con la battaglia navale di Lepanto il 7 ottobre 1571. Volle che questa impresa bellica fosse posta sotto la protezione della Vergine del Rosario, la quale gli apparve in visione quello stesso giorno per annunciargli la vittoria. Per l’intercessione ottenuta dalla Madonna del Rosario, il papa istituì il 17 marzo 1572 la festa di ringraziamento in onore di Santa Maria della Vittoria . Tale festa fu poi spostata da marzo alla prima domenica di ottobre con la riforma del calendario promulgata dal successore papa Gregorio XIII .
Marino è particolarmente legata alla memoria di Lepanto, per essere stato il suo signore Marcantonio Colonna capitano della flotta pontificia nominato personalmente da papa Pio V. Dall’impresa fortunata derivò onore e prestigio all’intera famiglia Colonna, che in molti luoghi volle perpetuare il successo dell’impresa. Per questo motivo fu eretta nel 1632 la celebrativa Fontana dei Mori e poi nel 1675 costruito il monastero delle suore domenicane ad opera di suor Maria Isabella Colonna con la bellissima chiesa di Giuseppe Sardi del 1712 intitolata alla Vergine del Ss. Rosario. A tale riguardo non va sottovalutato il collegamento delle suore domenicane di Marino con i luoghi sacri della zona di Roma dominata dalla famiglia Colonna (Torre delle Milizie, Palazzo Colonna ecc.), ma soprattutto con il convento e con la chiesa di San Domenico al Quirinale, da cui le suore marinesi provenivano, e poi ancora con la vicina chiesa di Santa Caterina a Magnanapoli (1641), dove sono presenti opere di architetti come Vincenzo della Greca e di alcuni pittori, che ritroviamo attivi nella basilica di Marino, come Luigi Garzi e Giuseppe Passeri, al cui ambito va ricondotto il ritrovato dipinto su lastra di rame.
Non è un caso, dunque, se una cappella della basilica di San Barnaba, la terza della navata destra, sia stata dedicata alla Madonna del Ss. Rosario, dove fin dall’inizio, riteniamo, sia stata collocata l’opera che oggi vediamo esposta. La basilica di San Barnaba, iniziata nel 1640, fu terminata dopo quindici anni nel 1655, ma i lavori interni finirono nel 1662 e solo nel 1713 fu consacrata .
La terza cappella della navata destra, completata nel 1662, fu dedicata alla Madonna del Ss. Rosario e fin dalla sua istituzione fu affidata e custodita dall’omonima confraternita. Il 10 dicembre 1662 fu collocato sull’altare, dopo solenne processione, il dipinto su tavola di Maria Ss.ma detta Madonna del Popolo, proveniente dalla chiesa di Santa Lucia . Ma l’altare completo in tutte le sue parti decorative fu consacrato il 2 gennaio 1751. Qui fu collocata la memoria di Lepanto, uno scudo che non è turco, come spesso si ripete, ma di un combattente cristiano del posto, che lo pose ai piedi della Madonna come ex voto e poi i quindici ovali dipinti a fresco, incorniciati a stucco sulla volta e sulle lesene laterali, dove sono rappresentati i Misteri del Santo Rosario . In questa cappella si facevano le novene della Purificazione, dell’Assunzione, della Natività, dell’Immacolata Concezione della Vergine, la novena di Natale di Gesù e vi si recitava il Ss. Rosario nei giorni di martedì, sabato e domenica di ciascuna settimana dell’anno . Per il resto del tempo nell’incasso dell’ancona dell’altare campeggiava la tavola dipinta della Madonna del Popolo. Da qui la necessità di alternare la presenza delle due immagini sacre alla venerazione del popolo, mediante un marchingegno azionato alla base dell’altare.
A partire dal termine dei lavori della cappella si può ragionare sul possibile autore del dipinto oggi esposto. Intanto occorre dire che questo di Marino appare in tutto simile non solo per il soggetto, ma anche per la fattura al dipinto ad olio su tela di Giuseppe Passeri (Roma, 1654-1714) collocato sull’altare della cappella Bonanni, terza di sinistra della chiesa di Santa Caterina in Magnanapoli a Roma dal titolo Madonna con Bambino, san Domenico e santa Caterina, di cui esiste più di un disegno preparatorio . Quindi il nostro dipinto di Marino è una replica, o una bella copia del quadro romano, secondo il citato Francesco Petrucci, e deve essere posteriore al 1703, data di esecuzione dei lavori di Passeri in Santa Caterina a Magnanapoli . Per quanto riguarda Giuseppe Passeri sappiamo che apprese l’arte della pittura nella bottega dello zio pittore e storiografo Giovanni Battista Passeri, ma il suo maestro fu Carlo Maratti, che lo avviò allo studio dei classici del Rinascimento: Raffaello e Annibale Caracci, e del Barocco: Guido Reni e Nicolas Poussin.
Ora, se l’altare della cappella del Ss. Rosario fu terminata nelle sue parti decorative nel 1750, per essere poi consacrato nel gennaio del 1751, la copia non può essere attribuita a Passeri, che nel frattempo era morto nel 1714, a meno che non fosse stata da lui realizzata in precedenza in vista di essere successivamente collocata in San Barnaba. Al termine di queste congetture, però, è scattato il colpo di scena. L’amico Maurizio Canestri di Marino ci segnala di aver esaminato un documento risalente al 1760, da lui rinvenuto anni prima nella chiesa della Ss. Trinità di Marino , nel quale si menziona esplicitamente, quale autore della copia marinese della Madonna del Ss. Rosario del Passeri, l’artista Sebastiano Ceccarini da Fano (1703-1783), che in tal caso sarebbe stato anche in età matura per compiere l’esecuzione del dipinto su commissione.
Sebastiano Ceccarini ebbe per modelli Guido Reni, Carlo Maratti e il Domenichino, ebbe per guida Giuseppe Ghezzi e poi suo figlio Pier Leone. Lavorò in diverse chiese romane e in altre città d’Italia. Tra le sue molte pitture si annovera anche una Madonna del Rosario del 1760, un dipinto su tavola conservato a Saltara (frazione del comune Colli del Metauro in provincia di Pesaro e Urbino) nel santuario della Madonna della Villa oggi ricollocato nella chiesa di San Pietro Celestino.
Dal documento appena rinvenuto, che assomiglia a un inventario di beni, o meglio a un libro di rendite della Confraternita, veniamo a conoscere esattamente la data e l’autore del nostro dipinto: «...v’è la nicchia nel mezzodetto altarino ove si conserva la sacra ed antica immagine della S.ma Vergine col suo Bambino a man dritta come si dirà in appresso sotto la tendina e dentro la sacra nicchia v’è un rame grande nel quale è dipinta la S.ma Vergine del Rosario con il suo Bambino, san Domenico e santa Caterina di Siena pittura di Sebastiano Ceccarini pagata detta pittura scudi 10 e tutto il rame pesa libbre quaranta pagato scudi 13 il tutto elemosina de benefattori fatta la pittura il 27 maggio 1748 che serve per custodire la sacra immagine».
La lastra di rame di “40 libbre di peso” (si usa tale metallo per far risaltare da lontano la lucentezza dei colori) con la sua stesura di pittura ad olio era alloggiata in un vano dietro la cornice dell’ancona superiore. La lastra è ancora adesso appesa a una funicella, tale da consentire di sollevarla a mano e dal basso dell’altare, mediante un sistema di carrucolette. Così in una sorta di “condominio degli spazi” la lastra dipinta saliva dall’oscurità dell’intercapedine, dove è stata trovata da mons. Pietro Massari, alla luce della cappella, in modo tale che questa andava a coprire la tavola dipinta della Madonna del Popolo nei giorni in cui si levavano preghiere alla Madonna del Rosario.
Troppe sono le fortuite coincidenze in questa singolare vicenda. L’immagine e il documento, così casualmente e contestualmente tornati alla luce entrambi, fanno pensare che questo bel ritratto della Madonna del Ss. Rosario abbia deciso un bel momento di farsi ritrovare per la rinnovata preghiera dei marinesi.
Ugo Onorati

Una Madonna ritrovata

La Vergine del Ss. Rosario di Sebastiano Ceccarini copiata dal Passeri.

Nonostante il gravissimo furto di opere d’arte avvenuto nel 1984, una chiesa monumentale ricca di opere d’arte, come la basilica collegiata abbaziale di San Barnaba di Marino, non finisce mai di stupire per le scoperte continue. Recenti sono le importanti attribuzioni, merito dello storico dell’arte arch. Francesco Petrucci, a Luigi Garzi del quadro della Madonna del Carmelo sull’altare del braccio destro del transetto, a Giuseppe Ghezzi della Madonna Assunta in cielo all’inizio della navata sinistra, a Francesco Rosa del Trapasso di san Francesco Saverio (1680) all’inizio della navata destra, a Giacinto Campana con interventi del Guercino del Martirio di San Bartolomeo sull’altare del braccio sinistro del transetto. 
Di recente è avvenuta una straordinaria scoperta, ad opera di mons. Pietro Massari, abate parroco del duomo di Marino, tanto casuale e inaspettata, quanto oserei dire “prodigiosa” . Si tratta di un dipinto a olio su lastra di rame, che rappresenta la Madonna del Ss. Rosario, secondo una consueta iconografia: la Vergine del Rosario, assisa su un trono di nuvole, è al centro della composizione con il Bambino in braccio e, ai suoi lati, i due principali santi domenicani: san Domenico a sinistra, mentre riceve la corona del Rosario e santa Caterina a destra, che a mani giunte volge lo sguardo alla Madonna .
La diffusione della preghiera del Rosario e quindi anche di questa immagine si deve a una specifica bolla papale del 1569 di san Pio V, monaco domenicano, particolarmente devoto a tale pratica . Il Papa promosse una “Crociata del Rosario” per combattere le eresie al nord, in Europa, e le minacce islamiche dei Turchi a sud. Promosse una Lega Santa fra le nazioni cattoliche, che culminò con la battaglia navale di Lepanto il 7 ottobre 1571. Volle che questa impresa bellica fosse posta sotto la protezione della Vergine del Rosario, la quale gli apparve in visione quello stesso giorno per annunciargli la vittoria. Per l’intercessione ottenuta dalla Madonna del Rosario, il papa istituì il 17 marzo 1572 la festa di ringraziamento in onore di Santa Maria della Vittoria . Tale festa fu poi spostata da marzo alla prima domenica di ottobre con la riforma del calendario promulgata dal successore papa Gregorio XIII .
Marino è particolarmente legata alla memoria di Lepanto, per essere stato il suo signore Marcantonio Colonna capitano della flotta pontificia nominato personalmente da papa Pio V. Dall’impresa fortunata derivò onore e prestigio all’intera famiglia Colonna, che in molti luoghi volle perpetuare il successo dell’impresa. Per questo motivo fu eretta nel 1632 la celebrativa Fontana dei Mori e poi nel 1675 costruito il monastero delle suore domenicane ad opera di suor Maria Isabella Colonna con la bellissima chiesa di Giuseppe Sardi del 1712 intitolata alla Vergine del Ss. Rosario. A tale riguardo non va sottovalutato il collegamento delle suore domenicane di Marino con i luoghi sacri della zona di Roma dominata dalla famiglia Colonna (Torre delle Milizie, Palazzo Colonna ecc.), ma soprattutto con il convento e con la chiesa di San Domenico al Quirinale, da cui le suore marinesi provenivano, e poi ancora con la vicina chiesa di Santa Caterina a Magnanapoli (1641), dove sono presenti opere di architetti come Vincenzo della Greca e di alcuni pittori, che ritroviamo attivi nella basilica di Marino, come Luigi Garzi e Giuseppe Passeri, al cui ambito va ricondotto il ritrovato dipinto su lastra di rame.
Non è un caso, dunque, se una cappella della basilica di San Barnaba, la terza della navata destra, sia stata dedicata alla Madonna del Ss. Rosario, dove fin dall’inizio, riteniamo, sia stata collocata l’opera che oggi vediamo esposta. La basilica di San Barnaba, iniziata nel 1640, fu terminata dopo quindici anni nel 1655, ma i lavori interni finirono nel 1662 e solo nel 1713 fu consacrata .
La terza cappella della navata destra, completata nel 1662, fu dedicata alla Madonna del Ss. Rosario e fin dalla sua istituzione fu affidata e custodita dall’omonima confraternita. Il 10 dicembre 1662 fu collocato sull’altare, dopo solenne processione, il dipinto su tavola di Maria Ss.ma detta Madonna del Popolo, proveniente dalla chiesa di Santa Lucia . Ma l’altare completo in tutte le sue parti decorative fu consacrato il 2 gennaio 1751. Qui fu collocata la memoria di Lepanto, uno scudo che non è turco, come spesso si ripete, ma di un combattente cristiano del posto, che lo pose ai piedi della Madonna come ex voto e poi i quindici ovali dipinti a fresco, incorniciati a stucco sulla volta e sulle lesene laterali, dove sono rappresentati i Misteri del Santo Rosario . In questa cappella si facevano le novene della Purificazione, dell’Assunzione, della Natività, dell’Immacolata Concezione della Vergine, la novena di Natale di Gesù e vi si recitava il Ss. Rosario nei giorni di martedì, sabato e domenica di ciascuna settimana dell’anno . Per il resto del tempo nell’incasso dell’ancona dell’altare campeggiava la tavola dipinta della Madonna del Popolo. Da qui la necessità di alternare la presenza delle due immagini sacre alla venerazione del popolo, mediante un marchingegno azionato alla base dell’altare.
A partire dal termine dei lavori della cappella si può ragionare sul possibile autore del dipinto oggi esposto. Intanto occorre dire che questo di Marino appare in tutto simile non solo per il soggetto, ma anche per la fattura al dipinto ad olio su tela di Giuseppe Passeri (Roma, 1654-1714) collocato sull’altare della cappella Bonanni, terza di sinistra della chiesa di Santa Caterina in Magnanapoli a Roma dal titolo Madonna con Bambino, san Domenico e santa Caterina, di cui esiste più di un disegno preparatorio . Quindi il nostro dipinto di Marino è una replica, o una bella copia del quadro romano, secondo il citato Francesco Petrucci, e deve essere posteriore al 1703, data di esecuzione dei lavori di Passeri in Santa Caterina a Magnanapoli . Per quanto riguarda Giuseppe Passeri sappiamo che apprese l’arte della pittura nella bottega dello zio pittore e storiografo Giovanni Battista Passeri, ma il suo maestro fu Carlo Maratti, che lo avviò allo studio dei classici del Rinascimento: Raffaello e Annibale Caracci, e del Barocco: Guido Reni e Nicolas Poussin.
Ora, se l’altare della cappella del Ss. Rosario fu terminata nelle sue parti decorative nel 1750, per essere poi consacrato nel gennaio del 1751, la copia non può essere attribuita a Passeri, che nel frattempo era morto nel 1714, a meno che non fosse stata da lui realizzata in precedenza in vista di essere successivamente collocata in San Barnaba. Al termine di queste congetture, però, è scattato il colpo di scena. L’amico Maurizio Canestri di Marino ci segnala di aver esaminato un documento risalente al 1760, da lui rinvenuto anni prima nella chiesa della Ss. Trinità di Marino , nel quale si menziona esplicitamente, quale autore della copia marinese della Madonna del Ss. Rosario del Passeri, l’artista Sebastiano Ceccarini da Fano (1703-1783), che in tal caso sarebbe stato anche in età matura per compiere l’esecuzione del dipinto su commissione.
Sebastiano Ceccarini ebbe per modelli Guido Reni, Carlo Maratti e il Domenichino, ebbe per guida Giuseppe Ghezzi e poi suo figlio Pier Leone. Lavorò in diverse chiese romane e in altre città d’Italia. Tra le sue molte pitture si annovera anche una Madonna del Rosario del 1760, un dipinto su tavola conservato a Saltara (frazione del comune Colli del Metauro in provincia di Pesaro e Urbino) nel santuario della Madonna della Villa oggi ricollocato nella chiesa di San Pietro Celestino.
Dal documento appena rinvenuto, che assomiglia a un inventario di beni, o meglio a un libro di rendite della Confraternita, veniamo a conoscere esattamente la data e l’autore del nostro dipinto: «...v’è la nicchia nel mezzodetto altarino ove si conserva la sacra ed antica immagine della S.ma Vergine col suo Bambino a man dritta come si dirà in appresso sotto la tendina e dentro la sacra nicchia v’è un rame grande nel quale è dipinta la S.ma Vergine del Rosario con il suo Bambino, san Domenico e santa Caterina di Siena pittura di Sebastiano Ceccarini pagata detta pittura scudi 10 e tutto il rame pesa libbre quaranta pagato scudi 13 il tutto elemosina de benefattori fatta la pittura il 27 maggio 1748 che serve per custodire la sacra immagine».
La lastra di rame di “40 libbre di peso” (si usa tale metallo per far risaltare da lontano la lucentezza dei colori) con la sua stesura di pittura ad olio era alloggiata in un vano dietro la cornice dell’ancona superiore. La lastra è ancora adesso appesa a una funicella, tale da consentire di sollevarla a mano e dal basso dell’altare, mediante un sistema di carrucolette. Così in una sorta di “condominio degli spazi” la lastra dipinta saliva dall’oscurità dell’intercapedine, dove è stata trovata da mons. Pietro Massari, alla luce della cappella, in modo tale che questa andava a coprire la tavola dipinta della Madonna del Popolo nei giorni in cui si levavano preghiere alla Madonna del Rosario.
Troppe sono le fortuite coincidenze in questa singolare vicenda. L’immagine e il documento, così casualmente e contestualmente tornati alla luce entrambi, fanno pensare che questo bel ritratto della Madonna del Ss. Rosario abbia deciso un bel momento di farsi ritrovare per la rinnovata preghiera dei marinesi.
Ugo Onorati


Arte Sacra





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